Di Gerardo Di Cola, storico del doppiaggio italiano
In tutti questi anni ho avuto un solo obiettivo nelle mie ricerche sul cinema: svelare le vicende legate al mondo del doppiaggio sempre confinato negli spazi angusti del non dicibile. Di doppiaggio non si doveva parlare! Questo atteggiamento omertoso da parte degli addetti ai lavori è durato fino alla fine degli anni Settanta. Pur essendo trascorsi quarant’anni dall’invenzione del doppiaggio, nessuno aveva il coraggio di parlarne apertamente per non svelare il trucco che gli attori stranieri non recitassero in italiano con le loro voci. Una domanda, però, è all’origine delle mie ricerche: ci voleva coraggio per svelare una simile necessità che nasceva dalla non conoscenza delle lingue e dalla difficoltà degli italiani di leggere le didascalie? Certo che ce ne voleva perché gli addetti ai lavori come i critici e i giornalisti cinematografici avrebbero dovuto dire che anche gli attori italiani si facevano doppiare. Come avrebbero reagito gli attori che facevano fatica a recitare con la propria voce in modo credibile allo svelamento di una semplice verità?
Anche i registi avrebbero potuto dire che utilizzavano il doppiaggio e non l’hanno fatto, sottolineando che tutta la produzione cinematografica italiana dal dopoguerra in poi è stata post-sincronizzata con le stesse voci che venivano utilizzate per il doppiaggio dei film stranieri. Era comodo prendere attori dalla strada, magari “poveri ma belli”, ma privi di preparazione, tanto poi sarebbero intervenuti i doppiatori ad aggiustare tutto. Addirittura Federico Fellini faceva dire i numeri ai suoi attori.
Se in “Le voci del tempo perduto” tento di dimostrare che, quando gli attori italiani cominciano a farsi doppiare, allora cala un velo pesante sul mondo del doppiaggio, in “Il teatro di Shakespeare e il doppiaggio” evidenzio la grande perizia dei doppiatori di recitare i testi del Bardo. In “Anna Magnani e il doppiaggio” faccio risaltare che quando gli attori italiani entrano in sala per auto-doppiarsi, allora si avverte uno scollamento sonoro tra la loro recitazione e quella dei doppiatori professionisti. “Lydia Simoneschi – la voce del cinema italiano” vuole essere un omaggio alla più grande doppiatrice italiana, mentre in “Federico Fellini e il doppiaggio” indago il rapporto difficile intercorso tra i critici cinematografici e il doppiaggio.
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